I capitali degli Sceicchi stanno acquisendo i centri del potere finanziario e industriale. Banche, immobili, turismo, energia e quartieri storici delle grandi città.
Si sono affacciati con curiosità poi siccome l’appetito vien mangiando hanno cominciato ad accaparrarsi dei gioielli più appetitosi e strategici del made in Italy. Quella dei ricchissimi arabi è diventata una sorta di bulimia: moda, immobili, hotel, banche e grande imprese strategiche dall’energia alla difesa fino a quel simbolo italiano che è l’Alitalia. Un’attenzione che viene da lontano. Guadagnò grandi titoli sui giornali nel 1976 la mossa della Lafico, la holding finanziaria di Muhammar Gheddafi, entrata in Fiat con i petrodollari rilevando quasi il 10%. «I libici? Si comportano come banchieri svizzeri» aveva detto Giovanni Agnelli. La quota è poi stata progressivamente ridotta fino in pratica ad azzerarsi.
Negli ultimi dieci anni è stata una corsa ad accaparrarsi i pezzi migliori dell’Italia. Tanti avamposti economici che preludono ad una colonizzazione culturale anche se, da abili strateghi, gli arabi procedono con circospezione. Una volta messe le mani sul bottino lasciano ai piani alti la dirigenza italiana ma le decisioni vengono prese ad Abu Dhabi o a Dubai. Non è difficile pensare che i legami finanziari possano avere un risvolto politico. Così inseguendo la rete dei finanziamenti dell’Isis da mesi le attenzioni sono concentrate su Kuwait, Qatar e Arabia Saudita. Non che siano questi paesi a foraggiare direttamente l’organizzazione, ma gruppi al loro interno che comunque impongono di mantenere una certa attenzione sull’area. E da tempo l’Italia ha stretti affari con il mondo arabo. Insomma il mondo islamico non è poi così lontano da noi e non è solo quello dei poveri immigrati a caccia di lavoro ma dei grandi capitali. Approfittando della crisi economica e quindi della maggiore disponibilità del governo ad aprire le frontiere ai capitali esteri, gli emiri si sono gettati a capofitto nel business che può offrire il nostro Paese e a prezzi stracciati. Il loro è uno shopping sistematico e tentacolare che nell’arco di una decina d’anni ha superato i cinque miliardi di euro. Ma la potenza di fuoco finanziaria degli sceicchi è tale che si fa fatica anche a descriverla. Solo i fondi sovrani dei Paesi del Golfo, gli organismi statali che hanno l’incarico di investire i surplus derivanti dalla vendita del petrolio, hanno un patrimonio di 2,5 trilioni di dollari. O, detto in modo forse più comprensibile, 2.500 miliardi di dollari. Si calcola che i 40 uomini più ricchi della penisola arabica abbiano da soli una ricchezza di 146 miliardi di dollari.
Non c’è ostacolo alla loro avanzata che anzi viene favorita. Nel 2014 il Fondo strategico italiano, emanazione della Cassa depositi e prestiti, ha creato una joint venture con il fondo sovrano del Qatar per l’acquisizione di quote in aziende della penisola. La società si chiama Fsi Investimenti e vanta partecipazioni strategiche. La società, per dire, ha il 46,2% in Metroweb Italia, strategico operatore infrastrutturale per la fibra ottica; il 44,5% in Ansaldo Energia, leader nella produzione di turbine a gas e a vapore; il 49,5% in Valvitalia, produttore di valvole per l’industria petrolifera; il 49,9% in Sia, realizzatore di sistemi di pagamento elettronici per banche centrali e pubbliche amministrazioni; il 25,1% in Kedrion, gruppo che produce plasmaderivati per uso terapeutico. Inoltre ha una quota di Rocco Forte Hotels, gruppo attivo nella gestione degli alberghi di lusso, e di Trevi, gruppo specializzato nel settore dell’ingegneria del sottosuolo. Parlando di arabi viene subito in mente l’ingresso in Alitalia di Etihad, la compagnia aerea di Abu Dhabi, ma si tratta solo della punta dell’iceberg. A Milano i centri del potere parlano arabo. Il palazzo della Regione Lombardia, uno dei simboli della nuova Milano, è di proprietà del principe Khaled bin Al Waleed Al Saud, figlio di quell’Al Waleed che fu a lungo tempo socio di Mediaset. Spostandoci nel modernissimo quartiere di Porta Nuova scopriamo che appartiene al fondo di investimento del Qatar e che 25 palazzi della zona sono in mani mediorentali. Dagli immobili alle banche il passo è breve. Unicredit ha come primo socio il fondo Aabar, con sede ad Abu Dhabi.
Il centro del business per eccellenza, Piazza Affari, non è sfuggita alle attenzioni arabe; attraverso la casa madre London Stock Exchange, è controllata dalla Borsa di Dubai (ha il 17,4% del capitale) e dalla Qatar Investment Authority (10,3%). Che dire poi del turismo di lusso, la ciliegina sulla torta dei loro investimenti. Sempre il fondo del Qatar ha messo le mani sulla Costa Smeralda holding, la società che controlla i più celebrati resort turistici sardi. Molti tra i più grandi alberghi della penisola sono ormai loro come il St. Regis di Roma e il Four Seasons di Firenze. E siccome si muovono nella fascia alta di qualsiasi settore, privilegiando le grandi imprese, amano soprattutto i grandi brand della moda: in poco tempo si sono comprati Valentino e Ferré. Non potevano mancare le grandi aziende strategiche. La Kuwait Petroleum, società petrolifera dell’omonimo emirato, ha vinto 4 lotti su 5 di un appalto del ministero dell’Economia per la fornitura di carburante alle pubbliche amministrazioni italiane attraverso la gara organizzata dalla Consip.
fonte: iltempo.it